La salute e la sicurezza dei pazienti rappresentano valori fondamentali nel campo della medicina. Tuttavia, un recente caso di malasanità a Catania ha evidenziato gravi mancanze nel rispetto di questi principi, portando alla condanna di tre dottoresse per un parto cesareo ritardato che ha avuto conseguenze devastanti per un neonato. Questo episodio ha sollevato interrogativi sulla responsabilità professionale e sull’importanza di garantire interventi tempestivi in situazioni critiche.
La condanna delle dottoresse
La terza sezione penale del Tribunale di Catania ha emesso una sentenza severa, condannando le dottoresse Gina Currao e Amalia Daniela Palano a sei anni di reclusione ciascuna per falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici. L’accusa si riferisce a un episodio avvenuto il 2 luglio 2015, quando un bambino è nato con gravi disturbi neurologici a causa del ritardo nell’intervento chirurgico necessario per un parto cesareo. Le dottoresse avrebbero procrastinato l’operazione per evitare di rimanere oltre l’orario di lavoro, ignorando i chiari segnali di sofferenza fetale.
Le indagini hanno rivelato che:
- Currao e Palano hanno omesso di eseguire il cesareo in tempo utile.
- Hanno somministrato atropina, un farmaco inappropriato, per simulare una falsa regolarità nell’esame medico.
Questo comportamento ha suscitato l’indignazione della famiglia del bambino e della comunità medica, costretta a rivedere le procedure e le pratiche di lavoro all’interno delle strutture sanitarie.
Il ruolo della terza dottoressa
Il Tribunale ha condannato anche una terza dottoressa, Paola Cairone, a cinque anni di reclusione per falso ideologico. Sebbene non fosse a conoscenza degli eventi precedenti, Cairone ha effettuato due manovre di Kristeller, una pratica vietata dalle linee guida, senza contattare in tempo il neonatologo per un intervento di rianimazione. Questo ritardo ha ulteriormente aggravato le condizioni del neonato, che necessitava di un intervento tempestivo.
Responsabilità collettiva e misure preventive
Il caso ha messo in evidenza non solo le responsabilità individuali delle dottoresse, ma anche quelle istituzionali dell’azienda ospedaliera Vittorio Emanuele, cui apparteneva l’ospedale Santo Bambino. Quest’ultima è stata condannata al pagamento di danni morali ai genitori del bambino, con una provvisionale di 150mila euro da corrispondere immediatamente. Inoltre, le dottoresse dovranno risarcire personalmente l’ospedale con ulteriori 20mila euro ciascuna.
La vicenda ha sollevato interrogativi su come vengano gestiti i turni di lavoro e le pressioni che i medici possono subire. È fondamentale che la necessità di rispettare orari e turni non comprometta mai la salute dei pazienti. Ogni operazione chirurgica, e in particolare un parto cesareo, deve essere eseguita con la massima urgenza e attenzione.
In seguito alla condanna, il Tribunale ha disposto l’interdizione perpetua dai pubblici uffici per le tre dottoresse, una misura che riflette la gravità delle loro azioni. Questo caso ha anche portato alla trasmissione degli atti alla Procura per valutare ulteriori azioni legali contro un teste che potrebbe aver fornito falsa testimonianza.
La famiglia del bambino ha trovato un certo grado di giustizia attraverso questa sentenza, ma il percorso di recupero e comprensione del trauma subito è ancora lungo. La comunità si interroga su come evitare situazioni simili in futuro e su quali misure preventive possano essere adottate per garantire che la salute dei pazienti sia sempre al primo posto. La speranza è che questa vicenda possa servire da monito per tutti i professionisti del settore sanitario, affinché la priorità resti sempre il benessere dei pazienti, senza compromessi.