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Paolo cognetti: dalla regia al sogno di una vita tra le montagne

Paolo Cognetti, scrittore milanese pluripremiato e autore di bestseller come “Le otto montagne”, ha compiuto un passo significativo nella sua carriera artistica debuttando come regista con il film “Fiore mio”. Questa pellicola, in uscita dal 25 al 27 novembre in 210 sale italiane grazie a Nexo Digital, rappresenta una nuova espressione della sua profonda connessione con la montagna, un tema centrale nella sua opera.

“Fiore mio” è un viaggio intimo e poetico, che affonda le radici nell’estate del 2022, quando Cognetti affronta una crisi personale legata all’esaurimento della sorgente d’acqua della sua casa a Estoul, un piccolo borgo a 1700 metri di altitudine. In un momento di riflessione, decide di intraprendere un cammino verso la fonte, un percorso che lo porta a visitare tre rifugi montani, situati tra i 2625 e i 3600 metri di quota. Lungo la strada, il suo inseparabile compagno è il cane Laki, un animale che, come racconta Cognetti, è diventato molto più di un semplice animale domestico.

Un legame speciale con Laki

Laki è descritto come un “maestro zen”, un compagno che ha insegnato allo scrittore la bellezza del silenzio e della semplicità, elementi che emergono fortemente nel film. “Io non ho mai voluto un cane”, confida Cognetti, “ma la presenza di Laki è diventata fondamentale”. Questo legame tra uomo e animale non è solo affettivo; rappresenta anche la ricerca di una connessione profonda con la natura e con se stessi, un tema che ricorre nel lavoro di Cognetti.

La dualità tra città e montagna

Nonostante la sua passione per le montagne, Cognetti non ha mai scelto di vivere permanentemente in montagna. “Sono un milanese che ama la montagna”, spiega, sottolineando che, sebbene trascorra periodi prolungati in alta quota, il suo legame con la città è altrettanto forte. La montagna è un rifugio e una fonte di ispirazione, ma non può sostituire le sue radici urbane. Questa dualità è parte integrante della sua identità artistica: un uomo che si muove tra due mondi, quello della città e quello della natura.

La transizione da scrittore a regista

La transizione da scrittore a regista non è stata casuale. Cognetti ha sempre nutrito un amore per il cinema, avendo studiato in una scuola di cinema a Milano quando era giovane. Tuttavia, ha scelto di dedicarsi inizialmente alla scrittura, un campo che gli permetteva di esprimere la propria creatività senza le limitazioni economiche spesso associate alla produzione cinematografica. La realizzazione de “Le otto montagne” come film ha rappresentato per lui un’avventura indimenticabile, spingendolo a esplorare nuovamente il mondo del cinema con “Fiore mio”.

Per la colonna sonora, Cognetti ha voluto al suo fianco un amico fidato, il cantautore Vasco Brondi, con cui condivide una visione artistica profonda. Brondi ha portato la sua sensibilità musicale all’opera, creando suoni che raccontano la montagna e la sua essenza. “Abbiamo cercato di far parlare gli elementi della montagna”, spiega Brondi, evidenziando come la musica e le immagini dovessero lasciare spazio al silenzio della natura.

Un omaggio alla bellezza della natura

Il film è, dunque, un omaggio alla bellezza e alla potenza della natura, ma anche una riflessione su come l’uomo si relazioni con essa. Le immagini catturate da Ruben Impens, cinematografo di grande talento, si intrecciano con la narrazione, creando un’esperienza visiva che invita gli spettatori a immergersi in un mondo di meraviglia e contemplazione. La montagna, con le sue sfide e bellezze, diventa un luogo di crescita personale e di esplorazione interiore.

Cognetti, con “Fiore mio”, non solo racconta la sua storia, ma invita anche il pubblico a riflettere sulla propria relazione con la natura e il significato di “essere montanaro”. In un’epoca in cui il contatto con la natura è sempre più raro, il film rappresenta un’importante opportunità per riscoprire la bellezza delle alture e la serenità che esse possono offrire. La montagna non è solo un luogo fisico, ma un simbolo di libertà e introspezione, un richiamo a tornare alle origini e a riscoprire il senso di comunità e appartenenza.

Con questa opera, Paolo Cognetti dimostra che, anche se non vive permanentemente in montagna, il suo cuore e la sua anima sono indissolubilmente legati a questi luoghi, rendendolo un vero e proprio “montanaro” d’adozione.

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