×

Mistero del furgone di ravenna: indizi prima della strage di capaci

Nell’ambito di un recente intervento alla kermesse di Fratelli d’Italia, Atreju, la presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Chiara Colosimo, ha sollevato una questione inquietante riguardante la strage di Capaci, avvenuta il 23 maggio 1992. Le sue dichiarazioni hanno riportato l’attenzione su un episodio cruciale per comprendere le dinamiche mafiose di quegli anni bui della storia italiana.

Colosimo ha raccontato di un imprenditore, cognato del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che il giorno prima della strage si trovava sul cavalcavia che conduce all’aeroporto di Palermo. Quest’uomo notò un furgone che sembrava appartenere alla sua azienda e, insospettito dalla sua presenza in un luogo in cui non avrebbe dovuto trovarsi, decise di fermarsi per verificarne il contenuto. Scendendo dal suo veicolo, scoprì che all’interno del furgone non c’era nessuno, ma in un avvallamento vicino, oggi un uliveto frequentato da chi va a commemorare le vittime, due uomini stavano armeggiando con del filo, probabilmente elettrico. Questo particolare è stato riportato nel primo processo sulla strage di Capaci da Roberto Di Legami, un poliziotto che ha avuto un ruolo significativo nelle indagini.

La targa del furgone e i legami mafiosi

Colosimo ha sottolineato l’importanza della targa del furgone, che risultava essere di Ravenna. Questo dettaglio ha sollevato interrogativi sui legami tra la mafia e gli appalti pubblici. La presidente della Commissione Antimafia ha affermato che, per comprendere appieno i 57 giorni precedenti alla strage, è necessario esaminare due filoni:

  1. Appalti mafiosi: il filone noto che ha caratterizzato le indagini.
  2. Massa Carrara e Calcestruzzi Spa: un secondo filone più recente che suggerisce l’estensione degli interessi mafiosi oltre Palermo.

Questi legami indicano che la mafia non operava solo a Palermo, ma aveva estesi interessi economici anche in altre regioni d’Italia.

L’orario della strage di via d’Amelio

Un altro punto cruciale sollevato da Colosimo riguarda l’orario dell’esplosione in via d’Amelio, il 19 luglio 1992. Mentre l’ora della detonazione è ben nota, ovvero le 16.59, ciò che è meno conosciuto è l’orario in cui furono apposti i sigilli all’ufficio del procuratore Paolo Borsellino, avvenuto alle 23:25. Questo intervallo temporale, dalle 17 alle 23.30, rappresenta una finestra di opportunità durante la quale chiunque avrebbe potuto entrare nell’ufficio e sottrarre documenti. All’interno, infatti, furono trovati importanti verbali di collaborazione redatti da Gaspare Mutolo e Leonardo Messina, due dei primi collaboratori di giustizia che fornirono informazioni fondamentali sulle attività di Cosa Nostra.

Durante il panel “57 giorni nel nido di vipere: verità sulle stragi del 1992”, Lucia Borsellino, figlia di Paolo, ha ulteriormente evidenziato l’importanza di queste informazioni. Ha messo in luce la figura di Angelo Siino, un collaboratore chiave di Totò Riina, che gestiva gli appalti per conto della mafia. Nei verbali rinvenuti nell’ufficio di Borsellino emergono dettagli inquietanti riguardo all’interesse crescente di Riina per la Calcestruzzi Spa, un’azienda strategica nel sistema degli appalti pubblici.

Le rivelazioni di Colosimo e la lotta contro la mafia

Colosimo ha proseguito parlando di Luigi Ranieri, un imprenditore che si era sottratto al controllo di Cosa Nostra. La sua morte, avvenuta in circostanze misteriose, evidenzia il rischio che correvano coloro che tentavano di opporsi alla mafia. Tra i documenti trovati nell’ufficio di Borsellino vi erano anche le agende di Ranieri, contenenti nomi di imprenditori e politici che, in seguito, sarebbero emersi nei contesti degli appalti mafiosi.

Inoltre, Colosimo ha menzionato il verbale di Aurelio Pino Napoleone, il primo imprenditore a collaborare con la giustizia, il quale ha rivelato i meccanismi di interazione tra Cosa Nostra e il mondo imprenditoriale. Queste rivelazioni mettono in luce un sistema complesso e ben radicato che ha permesso alla mafia di infiltrarsi nel tessuto economico e sociale del paese.

Le dichiarazioni di Chiara Colosimo non solo riaccendono i riflettori su una delle pagine più tragiche della storia italiana, ma invitano anche a riflettere sull’importanza della memoria e della verità nella lotta contro la mafia. La strada per la giustizia è ancora lunga e tortuosa, e la ricerca della verità su eventi così complessi richiede coraggio e determinazione da parte di tutti coloro che sono impegnati in questa battaglia.

Change privacy settings
×