La storia di Oleg Mandić è un racconto che attraversa il tempo, un filo di memoria che ci porta indietro agli orrori del Novecento. “Mi chiamo Oleg. Sono sopravvissuto ad Auschwitz”, scritto da Filippo Boni, è un memoir che narra l’esperienza di un bambino, l’ultimo prigioniero a lasciare il campo di sterminio di Auschwitz vivo. Attraverso le parole di Oleg, il lettore è immerso in una realtà che, sebbene lontana nel tempo, continua a echeggiare nella nostra società contemporanea.
l’infanzia di Oleg e la cattura
Oleg nasce nel 1933 in Istria, una terra intrisa di storie e conflitti. La sua infanzia viene stravolta nel 1944, quando, all’età di undici anni, viene catturato con la madre e la nonna. La famiglia di Oleg è perseguitata dai nazisti a causa delle sue inclinazioni politiche; il nonno e il padre sono partigiani che combattono per la libertà. L’internamento della sua famiglia è una ritorsione, una punizione per le scelte politiche del marito e padre, ma Oleg non comprende appieno la gravità della situazione fino a quando non viene catapultato nell’orrore del lager.
la vita ad auschwitz
Il campo di Auschwitz rappresenta un universo di sofferenza e privazione. Oleg vive la fame incessante, la fatica e la solitudine profonda, un’esperienza che riesce ad alleviare solo la presenza di un altro bambino, Tolja, il suo unico amico. La loro amicizia, seppur fragile e minacciata dalle circostanze, offre a Oleg un barlume di speranza in un luogo dove tutto sembra perduto. Tuttavia, la tragedia colpisce duramente:
- Tolja, gravemente malato, viene ricoverato in infermeria.
- Oleg lo ritrova in condizioni disperate, circondato da altri bambini vittime di terribili esperimenti medici condotti dal famigerato dottor Mengele.
- Oleg sfugge per un soffio a questo destino, ma la memoria di quei momenti lo accompagnerà per tutta la vita.
la liberazione e il ritorno alla normalità
La liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata rossa il 2 marzo 1945 segna un momento cruciale nella vita di Oleg. Tuttavia, la sua liberazione non è un trionfo, ma piuttosto l’inizio di un lungo viaggio verso la normalità, un viaggio costellato di cicatrici emotive e fisiche. Oleg stesso afferma: “Io ho sofferto e sono stato liberato, ma nella mia libertà si celava una pena destinata a non finire. Da Auschwitz, in verità, non è mai uscito nessuno.” Questa frase racchiude la complessità del concetto di libertà dopo un’esperienza così traumatica.
Da adulto, Oleg si ritrova a fare il pendolare internazionale tra Milano e Zagabria, lavorando per una casa editrice jugoslava. In un primo momento, cerca di allontanarsi dai ricordi del passato, concentrandosi sulla vita quotidiana e sulle responsabilità familiari. Ma il destino ha in serbo per lui un richiamo inaspettato: un messaggio che fa riferimento al numero tatuato sul suo braccio, non il suo, ma quello di Tolja. Questo segnale dal passato lo riporta ad Auschwitz, in un luogo carico di memorie e di dolore, dove decide di tornare per onorare la memoria dell’amico e di tutte le vittime.
La narrazione di Oleg non si limita agli eventi di Auschwitz; si intreccia con le guerre contemporanee, come quella in Ucraina, sottolineando come il male, sebbene cambi forma, persista nel tempo. Oleg, con la sua esperienza, diventa testimone di una verità scomoda: “Mi inquieta molto che la storia in fondo sia servita a poco. Le guerre, i genocidi, continuano tutti i giorni.” La sua missione è chiara: combattere l’odio e l’indifferenza, affinché la memoria di ciò che è stato non venga dimenticata.
Oleg Mandić, ora avvocato e giornalista, ha dedicato gran parte della sua vita a condividere la sua esperienza e a promuovere la memoria dell’Olocausto nelle scuole e nella società civile. Ha ricevuto riconoscimenti in Italia, Croazia e Polonia per il suo impegno nel preservare la memoria storica, un compito che porta avanti con determinazione. La sua storia è un monito per le generazioni future: non dimenticare, non chiudere gli occhi davanti alle ingiustizie, ma agire. La lotta di Oleg è quella di tutti noi, una battaglia per la dignità umana e per un futuro libero dall’odio.