Nel panorama politico italiano, la Democrazia Cristiana (DC) ha rappresentato un capitolo fondamentale della storia del paese. In particolare, quella irpina ha avuto un ruolo cruciale che merita di essere raccontato e rielaborato. Daniele Morgera, giornalista e autore, ha avuto l’ardire di compiere questa impresa nel suo libro “Li chiamavano i Magnifici 7. Ciriaco, Gerardo e gli altri: verità e leggende della DC irpina che arrivò a governare l’Italia”. Morgera non si limita a presentare una cronaca politica, ma crea un racconto che si snoda tra favola e realtà, utilizzando un linguaggio accessibile e coinvolgente.
Il libro si apre con un messaggio di WhatsApp di Alfonsina, una giovane di tredici anni, che sottolinea l’ignoranza e la curiosità dei giovani nei confronti della politica. Questa scelta narrativa di Morgera è particolarmente significativa, poiché mette in evidenza la distanza che spesso separa le nuove generazioni dalla comprensione della complessità della vita politica e del suo funzionamento. Attraverso il dialogo tra la nonna e il nipote, l’autore riesce a rendere la storia della DC irpina un racconto intergenerazionale, dove le esperienze di chi ha vissuto quel periodo si intrecciano con le domande e le incertezze dei più giovani.
Al centro di questa narrazione troviamo figure emblematiche come Ciriaco De Mita, che ha svolto un ruolo di primaria importanza come segretario nazionale della DC e come vera e propria “architrave” del partito. Accanto a lui, i sette “magnifici” che costituivano le colonne portanti della DC irpina: Gerardo Bianco, Nicola Mancino, Biagio Agnes, Salverino De Vito, Antonio Aurigemma, Aristide Savignano e Giuseppe Gargani. Questi uomini, tra gli anni ’50 e ’80 del secolo scorso, hanno rappresentato un’epoca in cui, secondo il racconto del nonno nel libro, “da questi paesini della provincia di Avellino, si comandava l’Italia”. È un’affermazione che, sebbene possa sembrare incredibile oggi, evidenzia la potenza e l’influenza che la DC irpina ha avuto a livello nazionale.
Morgera descrive questi politici come uomini di grande valore, dotati di una forte etica del lavoro, ingegno e voglia di progresso. L’autore non si limita a elencare i successi, ma riflette anche sulle sfide affrontate, come la ricostruzione post-terremoto e lo sviluppo delle infrastrutture che hanno cambiato il volto della regione. L’eredità lasciata da questi uomini non è solo materiale, con la costruzione di autostrade, ospedali e opere pubbliche, ma anche un’eredità culturale e sociale che ha contribuito a forgiare l’identità dell’Irpinia.
Nel libro, Morgera non ignora le critiche e i lati oscuri della politica, riconoscendo che ogni era ha le sue ombre. Tuttavia, il suo approccio è intriso di un sentimento di nostalgia nei confronti di un’epoca in cui la politica sembrava avere un ‘senso del dovere’ e una ‘vocazione al servizio pubblico’ che oggi è percepita come mancante. Attraverso le parole di Andrea Covotta, responsabile di Rai Quirinale, il lettore viene invitato a riflettere sulla qualità del dibattito politico attuale, che appare spesso dominato dalla quantità delle proposte piuttosto che dalla loro sostanza.
La scelta di Morgera di raccontare la storia della DC irpina come una “favola” è una metafora potente. Essa invita a considerare non solo i successi, ma anche le aspirazioni e i sogni di una generazione che ha cercato di costruire un futuro migliore per il proprio territorio e per il paese. La narrazione diventa quindi un modo per riflettere su come il passato possa influenzare il presente e il futuro, e su come le storie politiche locali possano rispecchiare le dinamiche nazionali.
In questo contesto, “Li chiamavano i Magnifici 7” non è solo un libro di storia, ma un invito a riscoprire l’importanza della memoria storica e a comprendere il ruolo che ogni singolo individuo, con le proprie scelte e azioni, può avere nel plasmare il corso degli eventi. Morgera riesce a rendere questa storia vivida e accessibile, trasformando un argomento complesso in un racconto che può affascinare anche chi non ha familiarità con la politica, dimostrando che la storia, se raccontata bene, può davvero diventare una ‘favola’ da tramandare.
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