In un episodio che ha scosso l’opinione pubblica siciliana, un uomo di 50 anni, Filippo Boccaccini, originario di Catania, si trova al centro di un’inchiesta giudiziaria di vasta portata. Secondo le autorità, Boccaccini non era un semplice pilota, ma un abile operatore di droni utilizzati per il traffico di sostanze stupefacenti e micro-telefonini destinati ai detenuti nelle carceri. I droni, dotati di carichi pericolosi, avrebbero operato non solo nel territorio catanese, ma anche in altre città come Enna, Augusta, Caltagirone, Palermo e Taranto. Questo traffico illecito, secondo le indagini, sarebbe stato remunerato con circa 2.000 euro per ogni consegna effettuata.
accuse e reati
La Procura di Enna ha formalizzato le accuse nei confronti di Boccaccini, che deve rispondere a ben 18 ipotesi di reato, tra cui la cessione di cocaina e hashish. Ma non è tutto: l’accusa comprende anche un reato relativamente recente, introdotto nel codice penale nel 2020, che punisce l’accesso indebito a dispositivi di comunicazione da parte di detenuti. In questo caso specifico, il reato sarebbe stato commesso da Boccaccini, il quale avrebbe consentito l’ingresso di micro-telefonini all’interno delle celle.
Martedì prossimo, il 24 ottobre, Boccaccini dovrà presentarsi davanti al Giudice per l’Udienza Preliminare (Gup) di Enna per un rito abbreviato richiesto dal suo legale, l’avvocato Riccardo Ecora. Durante questa udienza, si prevede che il pubblico ministero presenti la requisitoria, seguita da una sentenza che potrebbe arrivare nello stesso giorno. L’inchiesta coinvolge in totale 12 persone, tutte indagate nell’ambito di un’operazione coordinata dalla Procura ennese, e il processo di Boccaccini sembra essere solo la punta dell’iceberg di un fenomeno ben più ampio.
traffico di droga e comunicazioni illegali
Alcuni degli indagati, infatti, saranno sottoposti a giudizio immediato, mentre per altri si attende la conclusione delle indagini. Al momento non sono state avanzate richieste di archiviazione da parte della magistratura, il che indica che le indagini continuano a raccogliere elementi utili per il caso. La chiusura del cerchio su questa vicenda ha messo in luce un traffico di droga e comunicazioni illegali che si sviluppava all’interno del carcere di Enna, dove le droghe venivano rifornite direttamente ai detenuti attraverso un sistema di droni.
Un aspetto particolarmente allarmante emerso dall’inchiesta è il prezzo elevato delle sostanze stupefacenti all’interno dell’istituto penitenziario. Secondo quanto riferito da un detenuto agli investigatori, l’hashish veniva venduto a 100 euro al grammo, un prezzo dieci volte superiore rispetto a quello praticato sul mercato illegale esterno, dove il prezzo medio è di circa 10 euro al grammo. Questo incremento esorbitante dei costi è indice di un mercato nero ben organizzato e profittevole, che alimenta un circolo vizioso di criminalità e dipendenza.
implicazioni per il sistema penitenziario
Il passaggio del controllo del traffico di droga nel carcere di Enna ai catanesi ha segnato un cambiamento significativo nel panorama dello spaccio. La polizia ha descritto Boccaccini come “insostituibile” per l’organizzazione, il che spiega il motivo per cui guadagnava somme così elevate per ogni consegna. Questo scenario inquietante evidenzia non solo la creatività dei criminali nell’utilizzo della tecnologia, ma anche la difficoltà per le forze dell’ordine di contrastare fenomeni così sofisticati e ben pianificati.
L’udienza di martedì prossimo rappresenta pertanto un momento cruciale per comprendere l’evoluzione di questa inchiesta e le possibili implicazioni per il sistema penitenziario italiano. Le autorità stanno lavorando per smantellare questa rete di traffico di droga e comunicazioni illecite, ma la sfida è ardua. Le modalità operative utilizzate, come l’uso di droni, mostrano come la criminalità organizzata si adatti e si evolva, sfruttando le nuove tecnologie per eludere il controllo delle forze dell’ordine.
Questa vicenda mette in luce anche la necessità di una maggiore vigilanza e di misure preventive all’interno delle strutture carcerarie, al fine di evitare che simili operazioni possano ripetersi. La società civile attende risposte concrete e misure efficaci per fermare il dilagare di queste pratiche, che mettono a rischio non solo la sicurezza dei detenuti, ma anche quella della comunità intera.