“L’appello del presidente Mattarella non rimarrà inascoltato”, garantisce la premier nella conferenza stampa di inizio anno. Resta lo scoglio politico dentro la maggioranza, con la Lega che fa quadrato attorno a balneari e ambulanti
Dopo i rilievi del capo dello Stato sul disegno di legge Concorrenza, Giorgia Meloni riapre il dossier, nonostante i malumori che serpeggiano nella maggioranza, a cominciare dalla Lega di Matteo Salvini. “L’appello del presidente Mattarella non rimarrà inascoltato”, ha garantito la premier durante la conferenza stampa di inizio anno alludendo alle osservazioni del Colle sulle concessioni a balneari e ambulanti. Ieri si è acceso anche il faro della Commissione europea, che ha fatto sapere che “analizzerà attentamente” il ddl.
La premier ha difeso l’intervento sugli ambulanti, che si è “reso necessario per uniformare” un trattamento e rimuovere delle “disparità”, ma ha annunciato che “nei prossimi giorni” valuterà con gli altri partiti di maggioranza e i ministri interessati “l’opportunità di ulteriori interventi chiarificatori sulla materia”.
Sul tavolo, inevitabilmente, ci sarà anche il dossier dei balneari, su cui pende una procedura d’infrazione europea con annessa maxi multa mentre all’orizzonte si profila il Far West legislativo con un parte dei Comuni che hanno già bandito le gare. Anche in questo caso Meloni ha rivendicato la linea del governo, che “ha iniziato un lavoro mai fatto prima con la mappatura, per verificare il principio della scarsità del bene, richiesto per applicare la Bolkenstein” sui servizi nel mercato interno europeo. E ha assicurato che l’esecutivo interverrà con “una norma di riordino che consenta di intervenire sull’attuale giungla, in un confronto con la Commissione europea e con gli operatori, per evitare l’infrazione e per dare certezza della norma“.
A complicare il dossier c’è però anche uno scoglio politico, con il leader del Carroccio Matteo Salvini apertamente schierato a difesa dei balneari, che rischia di complicare la delicata trattativa in Europa affidata al ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto. “La Lega è impegnata, come da anni anche in questi giorni, per garantire diritti e futuro alle migliaia di lavoratori e imprenditori del commercio ambulante e del settore balneare”, ha ribadito il vicepremier. Nella maggioranza spunta anche la voce critica dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, attuale deputato di FdI, contro la direttiva Bolkenstein.
Lo scorso 30 dicembre il capo dello Stato ha promulgato la legge annuale per il mercato e la concorrenza ma non ha potuto evitare di inviare ai presidente di Camera e Senato, Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana, oltreché alla premier una lettera di osservazioni nella quale sottolinea “i profili di contrasto con il diritto europeo” e le “rilevanti perplessità di ordine costituzionale” sulle norme relative agli ambulanti. Nel mirino in particolare l’ennesima proroga automatica, per un periodo eccessivamente lungo, delle concessioni per il commercio su aree pubbliche. Senza contare che “i criteri generali per il rilascio di nuove concessioni, secondo quanto affermato anche dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, appaiono restrittivi della concorrenza in entrata e favoriscono, in contrasto con le regole europee, i concessionari uscenti”.
“Il contesto che viene a determinarsi presenta caratteristiche molto simili a quello oggetto della mia lettera del 24 febbraio” 2023, scrive il presidente alludendo ai rilievi sollevati a proposito delle norme sulle concessioni balneari contenute nel decreto Milleproroghe 2023, approvato dal governo il 29 dicembre 2022. Un quadro che secondo Mattarella rende “indispensabili, a breve, ulteriori iniziative di governo e Parlamento”.
La Commissione europea intanto va avanti con la procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per la mancata messa a gara delle concessioni balneari, in violazione della direttiva Bolkestein. Nel parere motivato di trenta pagine recapitato lo scorso 15 novembre, l’esecutivo comunitario ha bocciato il rinvio di un anno delle gare previsto dal decreto Milleproroghe, perché rappresenta un rinnovo automatico delle concessioni a favore dei titolari, in contrasto col diritto europeo.
Le trenta pagine di Bruxelles di fatto “smontano” il lavoro di mappatura delle spiagge portato avanti dal tavolo tecnico di Palazzo Chigi per dimostrare che le spiagge “non sono una risorsa scarsa”. E segna un altro passo in avanti verso la procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia. Nel caso l’Italia non rispondesse alle istanze europee entro due mesi potrebbe scattare il deferimento alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
Il contenzioso – a carte bollate – tra la Commissione europea e l’Italia va vanti dal dicembre del 2020, quando l’esecutivo comunitario ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora. “Gli Stati membri sono tenuti a garantire che le autorizzazioni, il cui numero è limitato per via della scarsità delle risorse naturali (per esempio le spiagge), siano rilasciate per un periodo limitato e mediante una procedura di selezione aperta, pubblica e basata su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi”, scriveva tre anni fa Bruxelles.
L’obiettivo, allora come oggi, è “fornire a tutti i prestatori di servizi interessati – attuali e futuri – la possibilità di competere per l’accesso a tali risorse limitate, di promuovere l’innovazione e la concorrenza leale e offrire vantaggi ai consumatori e alle imprese, proteggendo nel contempo i cittadini dal rischio di monopolizzazione di tali risorse”.
La lettera richiamava la sentenza con cui nel 2016 la Corte di giustizia dell’Ue ha stabilito che “la pratica esistente” in Italia “di prorogare automaticamente le autorizzazioni vigenti delle concessioni balneari” è “incompatibile con il diritto dell’Unione”. Non solo il Paese “non ha attuato la sentenza della Corte” ma “da allora ha prorogato ulteriormente le autorizzazioni vigenti fino alla fine del 2033 e ha vietato alle autorità locali di avviare o proseguire procedimenti pubblici di selezione per l’assegnazione di concessioni, che altrimenti sarebbero scadute, violando il diritto dell’Unione”. Secondo l’esecutivo comunitario, la normativa italiana crea “incertezza giuridica per i servizi turistici balneari” e scoraggia “gli investimenti in un settore fondamentale per l’economia” nazionale.
La scorsa primavera, i tecnici di Bruxelles hanno ammonito di nuovo l’Italia: “I continui ritardi nell’attuazione di procedure effettive di concorrenza per la concessione di licenze per la gestione di strutture marittime, lacustri e fluviali (concessioni balneari) restano una fonte di preoccupazione e implicano una significativa perdita di entrate”, scrivono nelle raccomandazioni puntando il dito contro le “iniziative legislative che hanno concesso proroghe, ostacolando i progressi nella riforma del settore”.
Secondo Assobalneari la mappatura del governo dimostra che “le coste marittime italiane sono occupate solo per il 33%” e dunque “la risorsa non è scarsa”, afferma facendo eco al leader del Carroccio. In altre parole manca “il presupposto” per indire le gare previsto dalla direttiva europea, spiega il presidente Fabrizio Licordari. “Le imprese italiane non devono cadere in mano a multinazionali straniere”.
Non la vedono così le opposizioni, a cui i conti del governo non tornano. A cominciare da +Europa che con il segretario Riccardo Magi parla di “truffa” dietro il tavolo tecnico di Palazzo Chigi. “Pur di non intaccare gli interessi della lobby dei balneari nella relazione da inviare all’Ue il governo Meloni ‘allunga’ l’Italia e si inventa 3mila chilometri di costa in più. Non i circa 8mila chilometri calcolati dall’Ispra, ma ben oltre 11mila”, scrive su X il deputato. “In questo modo l’area occupata dagli stabilimenti risulta minore rispetto alla realtà: provano così a intortare l’Ue e mettere a gara gli ultimi pezzi di spiaggia libera rimasti in Italia”. Insomma “il governo vuole regalare altri pezzi di spiaggia alla corporazione dei balneari, che continueranno a pagare canoni bassi allo Stato e ad alzare i costi di lettini e ombrelloni”.
Sulle barricate anche Andrea Bonelli di Alleanza verdi sinistra: “È lo scandalo di un settore che fattura 10 miliardi di euro all’anno ma versa allo Stato per le concessioni demaniali solo 110 milioni”.
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