Il 30 novembre prende il via negli Emirati arabi uniti la 28esima conferenza dell’Onu sul clima con l’ombra del conflitto di interessi. In cima all’agenda impegni più ambiziosi per la riduzione delle emissioni e l’uscita dai combustibili fossili. All’ultimo Francesco è costretto a cancellare il viaggio complice l’influenza
Alla Cop28, la Conferenza Onu sul clima che si apre giovedì prossimo a Dubai, non ci sarà il presidente americano Joe Biden. L’appuntamento riunirà fino al 12 dicembre una platea record di 70mila partecipanti, tra leader mondiali, ministri, negoziatori, imprenditori e attivisti. Un funzionario della Casa Bianca ha confermato il forfait. Non c’è spazio per il clima nell’agenda affollata del presidente, tra guerra in Medio Oriente, conflitto in Ucraina e campagna elettorale in vista delle presidenziali nel 2024. Un disimpegno rispetto allo scorso anno, quando Biden aveva partecipato, seppur per sole tre ore, alla Cop27 di Sharm El Sheik in Egitto. Del resto nell’emirato non metterà piede neanche l’omologo cinese Ji Xinping.
Papa Francesco, che fino al tardo pomeriggio aveva confermato la propria presenza, invece ha dovuto rinunciare “con grande rammarico” su consiglio medico a causa di un’infiammazione ai polmoni. Un appuntamento a cui il pontefice teneva particolarmente anche perché quest’anno per prima volta è prevista la partecipazione della Santa Sede ai negoziati come una parte in causa e non come osservatore. Per questo il portavoce vaticano a fatto sapere che nei prossimi giorni “verranno definite appena possibile le modalità” alla luce del cambio di programma.
Sarebbe stata la prima partecipazione di un Papa nella storia a un summit delle Nazioni Unite. A conferma di quanto la crisi climatica stia a cuore al pontefice lo scorso 4 ottobre, in vista della Cop28, Bergoglio aveva pubblicato l’esortazione apostolica Laudate Deum contro i negazionisti del riscaldamento globale.
Tutti gli altri capi di Stato e di governo, salvo dietrofront dell’ultimo minuto, dovrebbero rispondere all’appello, inclusa la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La 28esima Conferenza sul clima si aprirà all’ombra di un conflitto di interessi che ha destato non poche perplessità. A presiedere la Cop28 è stato chiamato Ahmed Al Jaber, l’amministratore delegato della compagnia petrolifera statale degli Emirati Arabi Unit (Adnoc), la dodicesima al mondo.
Attivisti e Ong temono che il conflitto di interessi mini il successo della Conferenza. Una nomina che la svedese Greta Thunberg ha definito “completamente ridicola“. Gli Emirati Arabi Uniti, con circa quattro milioni di barili di greggio al giorno, sono nella top ten dei principali produttori di petrolio al mondo e si oppongono al rapido abbandono dei combustibili fossili in favore della transizione verso le energie rinnovabili. Senza contare il pericolo che le voci dissenzienti vengano messe a tacere, in un Paese che limita la liberà di espressione e di riunione e ricorre allo spionaggio e alla sorveglianza tecnologica per reprimere gli oppositori, come ha denunciato Amnesty International.
I timori avvalorati dall’inchiesta della Bbc, che dimostrerebbe il tentativo da parte di Sultan al Jaber di trarre vantaggio dal proprio ruolo per negoziare accordi su gas e petrolio durante le riunioni preparatorie della Conferenza. Un portavoce della Cop28 ha respinto le accuse parlando di “documenti non verificati” da parte dell’emittente britannica.
“La Cop28 dovrebbe occuparsi della riduzione delle emissioni di gas serra e non della firma di accordi nel settore dei combustibili fossili, che oltretutto aggraverebbero la crisi climatica”, ha attaccato Kaisa Kosonen di Greenpeace International. “Questo è esattamente il conflitto d’interessi che temevamo quando il capo di un’azienda petrolifera è stato scelto per dirigere la conferenza”.
Le conseguenze del cambiamento climatico sono già sotto gli occhi di tutti. In ogni angolo del Pianeta si susseguono a un ritmo sempre più serrato fenomeni estremi che alternano la siccità alle alluvioni. E l’Italia non fa eccezione. Intanto il 2023 si candida a diventare l’anno più caldo di sempre. L’appuntamento di quest’anno diventa dunque quanto mai cruciale. Senza contare che la Cop28 sarà la prima occasione per fare un bilancio rispetto alle azioni messe in campo per ridurre le emissioni di gas serra, come previsto dall’Accordo di Parigi del 2015.
La Conferenza prenderà il via il 30 novembre, con i primi tre giorni del vertice aperti solo ai delegati, nella Zona Blu, riservata a capi di Stato, funzionari governativi accreditati e media. A seguire, dal 3 al 10 dicembre, le giornate tematiche su energia, natura, trasporti, oceani e città, che si terranno nella Green Zone, situata nel quartiere della sostenibilità di Expo City Dubai, aperta al pubblico per gran parte della conferenza, con un’ampia varietà di eventi e laboratori gratuiti.
Sono previste mostre interattive, installazioni artistiche, proiezioni di film, più di 300 conferenze e discussioni sul cambiamento climatico e la sostenibilità. Gli ultimi due giorni della conferenza invece verranno interamente dedicati ai negoziati finali, tesi a raggiungere un accordo tra le parti e come sempre c’è da attendersi un rush finale e trattative notturne.
Secondo gli ultimi dati diffusi dalle Nazioni Uniti alla vigilia della Cop28, i piani nazionali di azione sul clima risultano del tutto insufficienti a limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi e raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015. E se i leader mondiali non invertiranno subito la rotta, entro il 2100 l’innalzamento delle temperature sarà compreso tra 2,5 e 2,9 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Quanto basta per essere allarmati. Da qui la necessità che dalla Cop28 escano azioni concrete per correggere subito la rotta, con impegni da parte dei singoli Stati più ambiziosi.
In cima all’agenda ci sarà inevitabilmente la transizione verde con l’uscita dai combustibili fossili in favore di rinnovabili e efficienza energetica. Il tema che più divide i capi di stato e di governo riunite a Dubai: da un lato chi spinge per il cambiamento – gli Stati europei e le piccole isole – dall’altro i produttori di gas e petroliferi che remano contro.
Altro dossier particolarmente spinoso, i finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo, tra i più colpiti dalle conseguenze del cambiamento climatico pur essendo inquinatori marginali. Per anni le economie avanzate, maggiori responsabili delle emissioni di gas serra, hanno rifiutato di sostenere gli effetti della crisi climatica.
Alla Cop27 dello scorso anno in Egitto finalmente è stata raggiunta l’intesa per la creazione di un apposito Fondo per risarcire i danni e le perdite causati dal riscaldamento globale. Ora la conferenza di Dubai dovrebbe dare seguito all’intesa stanziando gli aiuti finanziari.
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