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Capodimonte: un viaggio tra la memoria della shoah e l’arte sottratta dai nazisti

Il Museo e Real Bosco di Capodimonte, un autentico gioiello della cultura napoletana, si prepara a commemorare il Giorno della Memoria delle Vittime dell’Olocausto con un’iniziativa speciale intitolata “Capodimonte, l’arte, la memoria”. Questo evento, che si svolgerà il 23 gennaio, rappresenta un’importante occasione per riflettere sulle drammatiche vicende storiche che hanno segnato l’Europa durante la Seconda Guerra Mondiale, tra cui il tragico destino delle comunità ebraiche e il furto di opere d’arte da parte dei nazisti.

L’importanza della memoria storica

Il direttore del museo, Eike Schmidt, sottolinea che il museo stesso è un luogo di memoria e testimonianza. Il dialogo con i giovani su temi come la Shoah e l’antisemitismo è parte integrante della missione del museo. L’incontro con gli studenti dell’Istituto superiore Giovanni Caselli, previsto per la mattina, sarà un momento fondamentale per trasmettere la memoria storica e il valore della testimonianza. Presenzierà all’incontro l’ingegner Roberto Modiano, un esponente della comunità ebraica napoletana e testimone di seconda generazione, la cui famiglia ha vissuto in prima persona gli orrori del regime fascista e della persecuzione ebraica.

Opere d’arte simbolo di un patrimonio minacciato

Le visite guidate che si svolgeranno nel corso della giornata si concentreranno su due opere emblematiche del museo:

  1. “Danae” di Tiziano
  2. “Antea” di Parmigianino

Questi capolavori non sono solo opere d’arte di inestimabile valore, ma sono anche simboli di un patrimonio culturale che è stato minacciato e in parte distrutto durante la guerra. La “Danae”, in particolare, è stata destinata a decorare la camera da letto di Hermann Göring, un alto ufficiale nazista, mentre la “Parabola dei Ciechi” di Bruegel è un altro esempio di come l’arte fosse coinvolta nelle dinamiche del potere e della guerra.

Il recupero delle opere d’arte rubate

Durante il conflitto, molte opere d’arte furono “rastrellate” dai nazisti e trasferite in Germania. A Capodimonte, come in altri musei italiani, il rischio di perdere queste opere era concreto. Dopo la caduta del nazismo, molte di queste opere furono nascoste nelle miniere di salgemma di Altaussee, in Austria. Hitler aveva pianificato di distruggere queste opere per impedire che cadessero nelle mani dei nemici, ma i minatori, riconoscendo il valore culturale di quegli oggetti, si opposero a tali ordini.

Il 25 aprile 1945 segnò una data cruciale: mentre il mondo si preparava a celebrare la liberazione, il suicidio di Hitler il 30 aprile e la successiva resa della Germania portarono a una riflessione profonda sulle conseguenze della guerra. I “Monuments Men”, un gruppo di esperti d’arte americani, furono incaricati di recuperare le opere rubate. Il ministro italiano dell’istruzione, Vincenzo Arangio-Ruiz, interagì con questi uomini per riportare in patria il patrimonio culturale italiano.

Nei mesi successivi, molte opere d’arte furono rinvenute e restituite, ma il percorso legale per il recupero di alcune di esse non fu privo di difficoltà. Tra queste, la “Santa Cecilia” di Cavallino, che fu infine assegnata a Capodimonte nel 1984. La restituzione di queste opere non rappresenta solo un atto di giustizia nei confronti del patrimonio culturale, ma è anche un’importante opportunità per riflettere su ciò che è stato perso e su ciò che può essere salvato.

In questo contesto, Capodimonte non è solo un museo, ma diventa un luogo di dialogo, di apprendimento e di riflessione. La valorizzazione della memoria e dell’arte rubata dai nazisti sottolinea l’importanza di non dimenticare, di continuare a raccontare storie e di preservare per le future generazioni un patrimonio che parla di cultura, identità e resilienza.

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