L’omicidio di Nunziatina Alleruzzo, avvenuto nel 1995, ha riacquistato tragicamente attenzione con la recente conferma della condanna all’ergastolo per suo fratello, Alessandro Alleruzzo. La prima sezione della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso della difesa, avallando così la sentenza già emessa dalla Corte d’assise d’appello di Catania. Questo caso ha scosso profondamente l’opinione pubblica, mettendo in luce le dinamiche brutali della mafia siciliana e rappresentando un capitolo oscuro della storia del clan Alleruzzo, noto per il suo legame con Cosa Nostra.
La scomparsa di Nunziatina
Nunziatina è scomparsa il 30 maggio 1995, e la sua famiglia ha avviato una disperata ricerca senza risultati. Un dettaglio inquietante emerse quando il figlio di cinque anni dichiarò di aver visto la madre uscire di casa con lo zio Alessandro. Questo indizio si è rivelato cruciale nella ricostruzione delle circostanze della sua scomparsa. Secondo l’accusa, l’omicidio sarebbe stato motivato da un presunto tradimento della donna nei confronti del marito, coinvolgendo non solo membri del clan di famiglia, ma anche esponenti di un clan rivale.
La conferma della condanna
La conferma della condanna all’ergastolo di Alessandro Alleruzzo non è stata ben accolta dalla sua difesa. L’avvocato Roberto D’Amelio ha dichiarato di attendere le motivazioni della decisione e di continuare a sostenere l’innocenza del suo assistito. Secondo il legale, “non si arrende” e crede fermamente che “non è stata ancora scritta l’ultima parola” sulla vicenda, suggerendo che ci potrebbero essere ulteriori sviluppi o tentativi di appello in futuro.
Il ritrovamento dei resti e le confessioni
Il 25 marzo 1998, quasi tre anni dopo la scomparsa di Nunziatina, i suoi resti furono finalmente rinvenuti in un pozzo grazie a due telefonate anonime che portarono i carabinieri della compagnia di Paternò sul luogo del ritrovamento. La testimonianza di un collaboratore di giustizia ha aggiunto drammaticità al caso, rivelando che Alessandro aveva confessato di aver ucciso la sorella per “riscattare l’onore della famiglia”. Questa confessione ha messo in luce la mentalità mafiosa che permea questo crimine: l’idea che l’onore della famiglia possa giustificare l’omicidio di un familiare.
Le indagini, condotte dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Catania, hanno riaperto un ‘cold case’ che per anni era rimasto irrisolto. Grazie alle rivelazioni di tre collaboratori di giustizia, gli inquirenti sono riusciti a ricostruire la dinamica dell’omicidio e a chiarire i motivi che avevano spinto Alessandro a commettere un atto così efferato. La mafia, con le sue regole e il suo codice d’onore, continua a esercitare un’influenza devastante sulle vite delle persone e sulle dinamiche familiari.
La conferma della condanna di Alessandro Alleruzzo rappresenta non solo un passo importante nella lotta contro la mafia, ma anche una testimonianza dell’orrore e della brutalità che caratterizzano questo mondo. La giustizia sembra aver fatto il suo corso, ma la questione dell’onore e della vendetta continua a essere presente nella cultura mafiosa, lasciando un segno indelebile sulle famiglie e sulle comunità coinvolte.