Azar Nafisi, l’autrice di “Leggere Lolita a Teheran”, ha espresso la sua profonda indignazione per l’arresto della giornalista italiana Cecilia Sala, evidenziando le oppressive dinamiche del regime iraniano. A 69 anni, Nafisi vive negli Stati Uniti dal 1997 e ha insegnato letteratura inglese alla John Hopkins University di Washington. Nonostante la distanza, continua a osservare con attenzione la situazione in Iran, un paese che ha lasciato ma dal quale trae ispirazione per le sue opere.
Nafisi ha dichiarato all’ANSA che l’arresto di Sala “crea in me un grande senso di oltraggio”. Questo sentimento non è solo personale, ma riflette una preoccupazione più ampia per il trattamento riservato ai giornalisti e agli stranieri in Iran. “Il regime iraniano cattura ostaggi stranieri solo per ottenere qualcosa in cambio”, ha affermato, sottolineando che la mancanza di accuse formali contro Sala è una chiara manifestazione di censura. “Se la repubblica islamica avesse avuto capi di imputazione, li avrebbe annunciati”, ha spiegato. Nafisi è convinta che, prima o poi, il regime inventerà un’accusa per giustificare la detenzione. “Di solito, i giornalisti sono accusati di essere delle spie, ma dobbiamo aspettare le prossime mosse”, ha avvertito.
La scrittrice ha notato che l’arresto di Sala potrebbe essere connesso a eventi più ampi, come quello di Mohammad Abedini Najafabadi, un cittadino iraniano fermato in Italia su ordine della giustizia americana. Tuttavia, Nafisi ha sottolineato che “Cecilia è una donna, è una giornalista e dice la verità”, il che rappresenta una minaccia diretta per il regime. “Raccontare i fatti è un problema per loro”, ha aggiunto, evidenziando come le azioni repressive del governo non siano necessariamente supportate dalle leggi islamiche, ma piuttosto riflettano la debolezza del regime stesso.
Nafisi ha anche espresso un forte senso di speranza riguardo alla resilienza del popolo iraniano. “La gente iraniana è forte: come Martin Luther King e come Mandela porterà avanti la sua rivoluzione senza incitare mai alla violenza”, ha affermato. La sua famiglia, composta da donne forti, ha sempre sfidato le norme patriarcali imposte dalla società. “Mia nonna era contraria alla poligamia e al matrimonio ‘under age’, mia madre non ha mai indossato il velo, eppure entrambe si professano musulmane”, ha raccontato. Questo esempio di femminismo laico in Iran è una testimonianza del fatto che non tutti gli iraniani si piegano alle norme oppressive del regime.
Nafisi ha continuato a sottolineare che “il mondo è pieno di musulmani laici e non violenti”. Secondo lei, il vero problema non è diventare anti-religiosi, ma combattere contro l’autocrazia e la teocrazia. La sua visione è chiara: la lotta per la libertà e i diritti umani non deve essere confusa con una guerra contro la religione, ma deve mirare a una società più giusta e libera.
Il caso di Cecilia Sala ha suscitato una grande empatia in Iran. Nafisi ha raccontato che, parlando con amici, ha sentito che la giornalista viene chiamata “our sister”, “nostra sorella”. Questo attaccamento emotivo dimostra come la lotta per la libertà di espressione e la verità trascenda le barriere nazionali. Nafisi ha esortato le organizzazioni internazionali a mobilitarsi per il benessere di Sala e ha sottolineato l’importanza della pressione sui governi italiano e americano per far capire al regime iraniano che ci sono conseguenze gravi per le sue azioni.
L’arresto di Cecilia Sala non è un caso isolato, ma un riflesso di un sistema che teme la verità e la libertà di espressione. Azar Nafisi, con la sua voce potente e il suo impegno, rappresenta un faro di speranza non solo per le donne iraniane, ma per tutti coloro che credono nella dignità umana e nei diritti fondamentali. La sua testimonianza continua a ispirare una generazione di attivisti e intellettuali, che lottano per un futuro migliore e più giusto in Iran e oltre.
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