Alzheimer, il sintomo che arriva due anni prima: i medici ci mettono in guardia

Prevedere il morbo di Alzheimer con largo anticipo non è più solo una speranza, ma una realtà scientifica grazie al lavoro di un team di ricercatori.  

Un’équipe di ricercatori dell’IRCCS Santa Lucia di Roma, in collaborazione con l’Università Campus Bio-Medico di Roma, l’Università di Torino e quella di Cardiff, ha messo a punto un metodo per diagnosticare il morbo di Alzheimer circa due anni prima del suo esordio. Lo studio si è focalizzato sull’area tegmentale ventrale (VTA), una piccola regione del cervello che produce dopamina e contiene tra 600.000 e 700.000 neuroni. Ecco tutti i dettagli.

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L’Alzheimer colpisce circa 600.000 persone in Italia ed è attualmente trattabile solo nelle fasi iniziali con le poche terapie disponibili. (Arabonormannaunesco.it)

I risultati della ricerca, pubblicati sull’autorevole Journal of Alzheimer’s Disease, mostrano che il danno alla VTA è un indicatore precoce dell’Alzheimer, anche se questa regione non è direttamente collegata alla demenza. In particolare, i ricercatori hanno scoperto che la compromissione dei circuiti dopaminergici nella VTA nei pazienti con disturbo cognitivo lieve, già a rischio di sviluppare demenza, può anticipare di ben 24 mesi i danni ad altre aree cerebrali e la comparsa dei primi sintomi clinici. Cosa significa tutto ciò per i pazienti e le loro famiglie?

Un nuovo approccio al rischio di Alzheimer

Con questa scoperta si apre una preziosa finestra temporale per l’utilizzo di farmaci che potrebbero rallentare l’evoluzione della malattia. L’Alzheimer, che colpisce circa 600.000 persone in Italia, è attualmente trattabile solo nelle fasi iniziali con le poche terapie disponibili. Di conseguenza, la ricerca in neuroscienze è cruciale per identificare i meccanismi patologici alla base della malattia.

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Il nuovo studio si è focalizzato sull’area tegmentale ventrale (VTA), una piccola regione del cervello che produce dopamina. (Arabonormannaunesco.it)

Marcello D’Amelio, responsabile del laboratorio di neuroscienze molecolari del Santa Lucia e coordinatore dello studio, ha spiegato che già nel 2017 il suo team aveva individuato la VTA come una delle prime aree coinvolte nello sviluppo dell’Alzheimer. La nuova ricerca si è concentrata sulle connessioni tra la VTA e il resto del cervello, e l’esito dimostra come le lesioni in questa piccola regione possano predire lo sviluppo della malattia.

La dottoressa Laura Serra, coautrice dello studio, ha illustrato il metodo utilizzato: neuroimmagini funzionali e test neuropsicologici su 35 pazienti con disturbo cognitivo lieve. Con tecniche indolori e non invasive si è potuto monitorare l’attività della VTA per 24 mesi. Dei 35 pazienti osservati, 16 hanno sviluppato l’Alzheimer, e questa conversione è stata preceduta da una significativa riduzione della connettività della VTA verso le aree cerebrali critiche per la malattia. Al contrario, nei pazienti che non hanno sviluppato la malattia, la funzione della VTA è rimasta inalterata. Si tratta quindi di un significativo passo avanti nella diagnosi precoce dell’Alzheimer, che offre nuove opportunità per interventi terapeutici tempestivi e mirati.

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